mercoledì 13 maggio 2015

Una finestra non è una finestra.

Dovremmo imparare che una finestra non è semplicemente un bell'infisso scelto da un catalogo. Un elemento che si conclude con le sue prestazioni energetiche, o più banalmente un cambio di spessori in un foglio bidimensionale. Dovremmo imparare ad affrontare il tema della finestra, che non può essere sempre uguale in un ritmo ossessivo, non preoccupiamoci solo del prospetto costruiamolo con l'interno, richiede un grande sforzo è vero, ma un progetto non è mai un interno e poi in esterno o viceversa. L'architettura non è una materia a compartimenti stagni. Che alcuni professorotti pigri vogliono farci credere. Se vogliamo imparare a gestire la moltitudine di temi che una finestra porta con se dobbiamo imparare ad osservare. Una finestra non sarà mai uguale ad una (tot) centimetri più bassa o alta, come non ne percepiremo mai la stessa intensità di luce, e se una finestra è profonda? Una ovale? Un taglio di luce, verticale, orizzontale? Ma dove, quando e cosa vedo fuori, capirete che l'argomento si fa complicato, e cosa sta succedendo dentro, e se volessi guardare senza farmi vedere,( le gelosie napoletane). Ogni progetto non può essere uguale al precedente, quello che accade non lo è, le persone che lo vivranno non lo saranno e neanche il clima, le stagioni la misura dello spazio. 

E potrei continuare all infinito ma preferisco concludere con le parole di un non architetto che lo sa dire meglio di tanti architetti. 

Se puoi vedere guarda, se puoi guardare osserva. Saramago. Cecità. 

venerdì 8 maggio 2015

L'ironia in Architettura, citazionismo,formalismo e ARCHITETTURA

Riflessioni e appunti dopo una lezione di decorazione in architettura. Tema 'Postmodernismo' 

Cosa differenzia un ornamento dalla decorazione? quando un elemento è superfluo e quando una decorazione è funzionale alla fruizione dell'opera. Quando un progetto è puro citazionismo e quando utilizziamo le nostre conoscenze storiche per ironizzare, migliorare, evolvere e rendere architettura quello che è un progetto su carta. Quella fondamentale differenza tra il citazionismo e l'ironia, la banalità di una vana citazione, messa li perchè ci piace. 

Chi di noi non ha mai avuto la tentazione di piazzare una finestra a nastro nel progetto citando ovviamente il Maestro, senza domandarsi invece cosa volevamo vedere da quella finestra, e come quella finestra potesse far entrare la luce, trasmettere un'evocazione a volte una decorazione che seppur virtuale(vedi pavimentazione caixa forum) sarebbe testimonianza di un grande controllo della materia dell' architettura e di comprensione di un insegnamento del maestro stesso. 

Quanto riusciamo a controllare la nostra voglia di far vedere che sappiamo, che abbiamo imparato, visto per poi finire con il produrre un aborto del postmodernismo più becero e decontestualizzato, riproponendo contenuti passati che non ci appartengono, ne a noi ne alla nostra cultura, per il puro piacere di citare, di 'usare' quell'idea. Io stessa ho sperimentato a discapito di un progetto quanto fosse facile lasciarsi andare al banale citazionismo, senza trovarne ancora una via d'uscita. 
Quanto non ho resistito a posizionare un salotto a cielo aperto, la mia stanza 'incielata' come l'attico del Beistegui, piazzandoci pure un periscopio perchè come a Parigi si vedeva la tour Eiffel dal mio progetto si sarebbe visto l'obelisco dell'immacolata. Ironia? dopo la lezione di  oggi ho capito che mi sono lasciata andare al puro citazionismo, in uno spazio dove l'apparenza formale ha preso il sopravvento su una qualità dello spazio che farà sempre la differenza tra uno spazio di architettura e una risposta formale.  

martedì 11 novembre 2014

Qualità della grafica o qualità del progetto?

Come si misura la vera qualità di un progetto oggi? Siamo architetti o siamo disegnatori?
Progettiamo lo spazio o creiamo immagini che incantano le persone e gratificano il nostro ego smisurato?
Dove sono i veri contenuti, la dignità di essere di un progetto. 
Quando guardo i lavori dei miei colleghi e anche di quelli un pò adulti, quelli famosi per intenderci mi pare di rileggere le frasi di Bruno Munari quando diceva che i rubinetti d'oro non hanno alcun senso se l'acqua che vi scorre all'interno è sporca (più o meno). 
Sono convinta che la grafica abbia un valore solo se serve a comunicare un'idea non a mascherare pigrizia di pensiero e mancanza  di contenuti. 

E se così non fosse perdonatemi è solo lo sfogo di chi vede solo strafare e poco saperfare.

E siccome sono solo e mi sento solo una piccola studentessa  di quelle con gli occhi all'aria e la testa sulle nuvole cito chi la storia l'ha fatta*: 


Ora che mi sono rivolto al tuo senso dell’onestà vorrei inculcarti, inculcare a te come a tutti gli studenti di architettura, l’odio per lo “stilismo da tavolo da disegno” che consiste nel coprire un foglio di carta con immagini attraenti, “stili” o “ordini” —questa è moda. L’architettura, invece, è spazio, larghezza,  profondità, altezza, volume e circolazione. Architettura è una concezione della mente. La devi concepire nella tua testa ad occhi chiusi. Soltanto così puoi prendere visione del tuo progetto. La carta è soltanto lo strumento per mettere in ordine l’idea e trasmetterla al committente o al costruttore. Quando grazie alle planimetrie e alle sezioni hai ottenuto un insieme che funziona, gli alzati vengono di conseguenza, e se hai qualche dote come progettista anche i prospetti saranno belli. Ripetilo in ogni maniera che le case servono per abitare ma sappi che sarai un buon architetto soltanto quando i tuoi prospetti funzioneranno. Le proporzioni bastano ma però c’è bisogno anche di molta immaginazione, e più modesto è il problema tanto maggiore è l’immaginazione di cui vi è bisogno. Architettura è organizzazione. TU SEI UN ORGANIZZATORE, NON UNO STILISTA DA TAVOLO DA DISEGNO. 


* Le Corbusier pubblicato su «Focus» n. 1, 1938. il testo originale è in francese ed è corredato da due tavole di disegni a mano libera dell’autore, come appare dal n. 766 di «Casabella», maggio 2008, p. 3.

domenica 15 dicembre 2013

If I had to teach you architecture

“Se dovessi insegnarvi architettura? Davvero una domanda difficile …Inizierei proibendo gli ordini (…). Insisterei su un vero rispetto per l’architettura. (…) Mi sforzerei di inculcare nei miei allievi un acuto bisogno di controllo, di imparzialità nel giudicare di sapere “come” e “perché” … e li incoraggerei a coltivare questi atteggiamenti sino al loro ultimo giorno. Vorrei però che così facendo si basassero su una serie di fatti oggettivi. Ma i fatti sono fluidi e mutevoli, specialmente ai nostri giorni; pertanto insegnerei loro a diffidare delle formule e vorrei convincerli che tutto è relativo. (…)L’architettura è spazio, larghezza, profondità, altezza, volume e circolazione. Architettura è una concezione della mente. (…) Architettura è organizzazione. Tu sei un organizzatore, non uno stilista da tavolo da disegno”.Le Corbusier, If I had to teach you architecture, Casabella n. 766, maggio 2008.

lunedì 2 dicembre 2013

Lafayette Park

Il complesso residenziale di Lafayette park, ad opera di Ludwig Mies Van Der Rohe e Ludwig Hilberseimer, rappresenta un emblematico riferimento teorico e progettuale per i temi legati alle forme degli insediamenti, questioni per molti anni abbandonate dalla ricerca architettonica e urbana. L’inizio dei lavori risale al 1956 su un terreno di 19 ettari destinati ad un complesso di appartamenti e di cooperative. L’ intero sistema nasce in aree occupate da quartieri degradati, slums; questo attesta che il progetto nasce da un’ attenta analisi che prende in considerazione problematiche sociali, architettoniche e funzionali. Le due personalità che hanno collaborato al progetto hanno mostrato capacità e approcci complementari tra loro, rendendo possibile un complesso apportatore di riqualificazione per la città stessa. Hilberseimer si concentra sul tema della città e le problematiche che ne derivano, sperimentando modelli per la nuova città, altre prerogative della ricerca di Hilberseimer, erano la ricerca dei minimi spazi necessari per l’abitazione e lo sguardo particolarmente rivolto alla esposizione dell’edificio: gli edifici di Hilberseimer sono concepiti per sfruttare al massimo la luce naturale e per favorire una buona regolazione del microclima all’interno delle abitazioni. (Non a caso il 21 dicembre, solstizio d’ inverno, è definito Hilb’s day). Mies invece contribuisce all’ aspetto morfologico dell’opera, conferendo la forma esatta dell’ architettura, secondo l’ operazione di ordine (tra le varie parti della città) secondo cui si dispongono le cose nel posto che corrisponde alla propria natura. La capacità di Mies era quella di passare dall’ idea alla realizzazione basandosi sui principi di essenzialità e generalità, ritenute da lui i principi di base da cui partire per poi variare e perfezionare le idee. Tali principi mostrano un’ etica architettonica che nella nostra contemporaneità sembra scomparire; il valore sociale dell’architettura sta facendo spazio alla “scenografia” dell’architettura che va a sopprimere la tensione ideale dell’ architettura, grazie alla quale si possono intendere i principi della composizione.
Il complesso residenziale comprende tre tipologie di abitazioni:

  1. Case ad un piano (a patio o a schiera)
  2. Case a due piani a schiera
  3. Appartamenti in edifici alti

1. 2. 3.
Le destinazioni d’uso del parco erano molteplici: abitazioni, uffici, ma attraverso l’uso della curtain wall queste funzioni diverse non vengono mostrate.
L’ edilizia popolare di Mies, in questo caso può essere definita un “anti-siedlungen” ove nelle case a basso costo considera la dimensione umana.
Il sistema è costruito grazie allo studio della “unità residenziale” intesa come parte elementare, ripetibile all’interno della città. Per Mies fare architettura significa ordinare le cose in se stesse e nelle loro relazioni. La parola ordine in quel periodo storico era ritenuta un principio scomodo e reazionari, in realtà la parola ordine richiede capacità intellettiva e responsabilità, per cui è un principio del tutto rivoluzionario.
Una delle caratteristiche che definiscono l’opera di Ludwig Mies Van Der Rohe è quella del suo particolare interesse al luogo, al contesto urbano e soprattutto al paesaggio: Mies unisce assieme i principi paesaggistici del ricovero e della vista, con i principi del disegno urbano per la definizione del luogo, separazione degli elementi e integrazione coi dintorni e l’ambiente.
Da questa ricerca deriva la capacità di mettere in evidenza il patrimonio naturale della città stessa, affrontando il patrimonio naturale con un alta espressione, facendo dominare il linguaggio della natura su quello architettonico: gioco di trasparenze e superfici riflettenti che moltiplicano la natura.
I principi compositivi di Mies sono tutti presenti all’interno del parco Lafayette, concepito come un grande parco centrale con una rete di sentieri per passeggiate, con una composizione sfalsata degli edifici che già aveva proposta per il progetto per il campus a Chicago. L’obiettivo del parco era quello di riuscire a raggiungere una “Venustas a basso costo”, fenomeno che in Italia non ha avuto la stessa dinamica.
Mies nei suoi progetti non ha mai considerato di progettare secondo una grandezza conforme: eliminare il superfluo dall’edificio, cosicchè la fabbrica avrà la sua quota di universalità.
Il modello di città di Hilberseimer, è basato sulla sovrapposizionedelle funzioni entro un organismo edilizio complesso che integra edifici e infrastrutture, è come se due città fossero poste l’unasull’altra: sopra la città residenziale con il suo traffico pedonale, sotto la città degli affari con il suo traffico veicolare.
Allo schema organizzativo Hilberseimer non affianca esempi contestualizzati perchè, a suogiudizio, la proposta richiede una differente declinazione in ragione del luogo dove verrà applicata.
Inoltre, i suoi studi costituiscono uno straordinario patrimonio di sperimentazione di una idea di città pienamente evoluta costruita sul rapporto con il proprio tempo, espressione del carattere, delle aspirazioni spirituali e delle esigenze materiali della società contemporanea. I progetti editi ed inediti qui raccolti mostrano specifici tentativi di trasformazione della città attraverso l'analisi e la modificazione delle sue parti e dei suoi elementi.

Ma forse la cosa più straordinaria di Lafayette Park è il modo in cui gira la saggezza convenzionale di oggi sulla pianificazione sulla sua testa. Lo sviluppo cesoie fuori dalla griglia di base strada, e personifica concetto di Le Corbusier della Città Radiant, una serie di alti grattacieli in mezzo a parchi abbondanti in gran parte isolato da strade. E 'una questione fondamentale della fede in questi giorni che queste sono tutte le idee terribili, ma a Lafayette Park, hanno lavorato, e hanno continuato a lavorare per mezzo secolo. Via Planetizen, ecco un grande articolo del Detroit Free Press per la sua critica di architettura Giovanni Gallagher che racconta la storia. Quello che oggi è chiamato il Mies van der Rohe Quartiere residenziale è quotata al Registro Nazionale dei luoghi storici.
Superblocchi di grattacieli e gruppi identici di case a schiera distinguono dalla griglia urbana della città, Lafayette Park, il primo progetto di riqualificazione urbana a Detroit, ove era forte la presenza della classe operaia e dove si è riuscito a trovare un giusto compromesso tra l’edilizia operaia e complesso residenziale, considerando la vera natura del luogo su cui sono intervenuti.



Markies-Built to Move la mutevolezza dello spazio

Progetto realizzato per il concorso “Temporary Housing” del 1986. Ispirato al paravento pieghevole di Charles e Ray Eames, s’inserisce nella questione: “piegare e spiegare, per risparmiare spazio e facilitare il trasporto”. Bohtlingk presentò una struttura simile a una roulotte con le due pareti laterali pieghevoli che, ruotando per un quarto di circonferenza, triplicano la superficie del pavimento e quella della copertura tramite un sistema a ventaglio. Si ottiene, così, una tripartizione degli ambiti: al centro una zona giorno con i servizi e lo spazio attrezzato a pranzo, da un lato la zona notte con copertura opaca e la possibilità di estrarre quattro letti, e dall’altro, il soggiorno con copertura trasparente che può essere lasciata aperta e fungere da porticato. Markies nasce con l’idea di un caravan che, arrivato a destinazione, si espande e, quasi come un parassita, invade lo spazio conformando una vera e propria casa.

“Costruito per spostarsi” è il tema fondante di tutta l’opera dell'architetto olandese Eduard Böhtlingk. Nella sua architettura l'intero concetto di "abitazione" sembra non andare nella direzione della stabilità e della permanenza, ma piuttosto verso la mobilità e mutevolezza dello spazio dell‘abitare: ci vengono in mente il multi-funzionalismo e le famiglie moderne, sempre in rapida evoluzione anche grazie al cambiamento delle condizioni di vita e al progresso tecnologico del secolo scorso che ha fatto si che questo tipo di innovazione sia sempre più importante nella nostra vita. Già nel passato grandi architetti, tra cui Frank Lloyd Wright, Charles e Ray Eames e Ludwig Mies van der Rohe, misero in discussione l'idea di architettura domestica, definendola come un qualcosa di non necessariamente monolitico e fisso, ma in continuo movimento insieme all’uomo che l’abita. Allo stesso tema si dedicò, poi, il Design anticipando e promuovendo i futuri stili di vita in movimento. In questo spirito vivace, detto "Living in Motion“, le caratteristiche degli oggetti ci aiutano nel trasporto degli stessi in tutto il mondo: ricordiamo Joe Colombo con la sua “Mini Kitchen”, dove tutti gli oggetti da cucina erano su ruote come il frigorifero, i fornelli, o l’apriscatole, fino ad arrivare ai giorni nostri dove le abitazioni sono portatili. Un capostipite in tal senso è, per l’appunto, Böhtlingk con i Markies in cui i mobili e le apparecchiature si piegano, si smontano, si possono combinare: si tratta essenzialmente di un caravan mobile che occupa la superficie di nove metri quadrati.
Sulla strada Markies misura 2,20x4,40m; una volta arrivati a destinazione la sua superficie può essere triplicata in pochi secondi grazie ai suoi due lati apribili tramite un sistema elettrico. Entrambe le pareti laterali possono essere piegate verso il basso. Lo spazio è, quindi, diviso in tre zone: al centro vi è la cucina, con sala da pranzo e wc, da un lato il soggiorno con la sua cupola trasparente, che nella bella stagione funge anche da terrazza quando la tenda si alza, e dall’altro la camera da letto, che può essere divisa in unità più piccole, è coperto da una tenda opaca. Questo principio, il cui scopo principale è quello di risparmiare spazio e facilitare il trasporto, è figlio del paravento ideato da Charles e Ray Eames, ordinato da schemi di partizione tradizionale, ma inserito all’interno di un Caravan.